Vai alla Home Page
ITA | ENG
×
Header pagina
STORIA E RUOLO DEI CONTENITORI PER VINIFICARE: IL LEGNO E GLI ALTRI MATERIALI

 

Torniamo in cantina a parlare del nostro argomento preferito: il metodo di lavorazione che trasforma l'uva in vino! Sebbene alla base ci sia la scienza, è sempre un processo ricco di fascino, vero? Oggi parliamo dell'importanza dei contenitori, che hanno la grande responsabilità di accogliere il nostro liquido preferito: lo proteggono, e lo aiutano a diventare “grande”.

Dopo avere terminato il suo primo ciclo di vita, dalla fermentazione alla trasformazione malo-lattica, il vino ha trascorso del tempo in diversi tipi di contenitori, realizzati con materiali differenti: acciaio, vetroresina, cemento, legno.

È bene subito chiarire che i vari materiali utilizzati per contenere un alimento non si possono scegliere a caso: esiste una precisa legislazione sanitaria dello Stato, che certifica e permette l’utilizzo di un materiale rispetto a un altro nel rispetto di salubrità, tossicità, resistenza ai solventi e agli acidi e così via.

Inoltre (andando oltre l’attuale delle “varie mode enologiche” che si rincorrono ormai ogni 3/5 anni ) la scelta dei materiali con cui costruire i contenitori del vino è stata presa soprattutto in funzione del periodo storico, della facilità di approvvigionamento o meno, della facilità costruttiva, del clima e del territorio in cui ci si trovava. Mi spiego: il materiale di più facile reperimento storicamente è sempre stato il legno, e non solo per il vino, ma anche per esempio per l’aceto, la birra, il whisky, grappa e via dicendo.

 

L’USO DEI MATERIALI PER VINIFICARE, NELLA STORIA

Anticamente, alle nostre latitudini il legno si reperiva in modo facile e in quantità elevate, si riutilizzava anche lo scarto, era duttile e facile da lavorare, permetteva una perfetta tenuta, era riutilizzabile all’ infinito e in caso di rotture si poteva riparare.

Verso i primi anni dell’800 e a seguire, in Europa, con l’incrementare dell’edilizia e dell’industria, si affermarono però due filoni produttivi differenti, in base alla ricchezza o meno di minerali:

  • L’area sud d’Europa dei paesi latini, contando sulla facilità di reperire argille –sabbie – marne e facendole reagire con altri minerali, utilizzava la malta cementizia; in un secondo momento, invece, il calcestruzzo e il cemento armato (e dunque venivano realizzati vasi vinari in cemento armato).
  • L’area centro nord dell’Europa, grazie alla ricchezza di carbone e minerali ferrosi, prediligeva materiale ferroso a basso costo per costruire manufatti (vasi vinari in ferro).


In tempi più moderni, con l’affermarsi delle aziende chimiche e l’uso di sostanze di sintesi, sono stati introdotti materiali come le resine e la vetroresina (Prfv): leggere, facile da spostare anche per contenitori di grosse dimensioni, facili da igienizzare e lavare, antiacido, resistenti, facilmente lavorabili.

Siamo poi arrivati agli anni 80/90 del novecento con l’introduzione dell’ acciaio inox, meno costoso di un tempo e alla portata di molte più tasche, antiacido, facilmente lavabile, e soprattutto potabile di applicazioni per automatizzare i processi e i lavori di vinificazione.

La scelta di ogni materiale va dunque contestualizzata anche a seconda dell’epoca storica, e con determinate condizioni economiche e di necessità. Oggi ci sembra così normale usare materiali diversi a seconda della fase di produzione del vino in cui ci troviamo, ma un tempo non era così: se avevi contenitori in legno o cemento, quelli usavi per tutte le fasi di vinificazione.
Fortunatamente ora possiamo permetterci “il lusso” di provare contenitori di diversi materiali, di testarli per valorizzare al massimo il frutto della vite, nella vinificazione più ideale per quel tipo di uva o per quell’annata.

Ricordiamoci sempre, però, che è sempre la qualità dell’uva che permette di avere il potenziale qualitativo più elevato di riuscita, nel vinificare un vino di qualità.

Attualmente, quindi, la scelta dell’uso del legno come materiale per costruire botti, barili o carati (ovvero grand chéne, barriques, tonneaux) è in funzione della scelta del singolo viticoltore, a seconda del tipo di uva e del progetto di vino che si vuole realizzare.



VINIFICAZIONE E SCELTA DELLO STRUMENTO LEGNO

L’essenza di legno più impiegata per eccellenza è il rovere (sono in uso anche altre essenze ma in percentuali molto piccole), che si ricava da diversi tipi di querce, per lo più quercus sessilisquercus albaquercus nigra.

I barili sono contenitori da circa 150 a 350 litri, da 400 a salire; sino a 650/700 litri abbiamo i carati, mentre salendo ancora abbiamo le botticelle e poi le botti.

Queste classificazioni non sono così chiare e variano da paese a paese e da zona a zona viticola.

Quello che invece non varia è il modo di “lavorare” dei singoli contenitori (che sia chiaro sono assimilabili ad una qualsiasi altra attrezzatura di cantina). Si sceglie dunque un’attrezzatura piuttosto che un’altra per fare un determinato lavoro.

La fisica ci dice che più un contenitore è di piccole dimensioni, più la superficie a contatto del liquido sarà maggiore. Al contrario, nei contenitori di grosse dimensioni, la superficie a contatto sarà minore.

Questo è importante da sapere, perché si ripercuote sul modo di “lavorare” dei contenitori in legno, dunque anche sul contenuto, il nostro vino, e sulla fase che prende il nome di affinamento.

Non si mette il vino in legno perché assimili il suo aroma, ma perché è naturalmente dotato di una microporosità. Questa permette al legno di essere impermeabile ai liquidi ma non ai gas, ed essere quindi gas permeabile. In questo modo l’aria e l’ossigeno contenuta in esso può scambiarsi in modo naturale attraversando il legno tramite il vino.


Perché sia efficace, le dimensioni dei pori devono essere microscopiche: è questo che rende l’ossigeno un catalizzatore molto reattivo con i vari costituenti presenti naturalmente nel vino. Stiamo parlando di sostanze coloranti, sostanze aromatiche, precursori di aromi, tannini, acidi, acidi grassi, sali, alcoli e così via, che subiscono variazioni stando a contatto con il legno della botte: spesso avrete sentito nominare, ad esempio, i cosiddetti sentori di tostatura, o di spezie dolci come la vaniglia.



IL MOMENTO DELL’AFFINAMENTO

Il termine affinamento si usa per un vino che deve affinare, maturare, migliorandosi con il tempo nei suoi componenti; il vino si eleva, migliora le sue caratteristiche organolettiche acquisendone di nuove, che lo renderanno, alla fine del processo, pronto per la beva e più longevo.

Possiamo avere diversi tipi di affinamento :

  • in legno;
  • sulle fecce fini;
  • in bottiglia.

Comunque, sempre legato a una ” fase di lavorazione” precedente alla messa in commercio.

Quello dell’ affinamento in botte di legno è un momento in cui c'è scambio tra vino e legno, in cui si dice che il legno "cede" delle sostanze al vino, ad esempio i propri tannini e alcuni aromi, ma è più corretto parlare, appunto, di "interazione" con il vino.

L’interazione per più o meno tempo ( mesi – anni ) dell’ ossigeno con tutte queste sostanze dà il via a migliaia di reazioni chimiche di ossidoriduzione, che andranno piano piano a trasformare il vino di partenza.


La fase di affinamento in legno dei vini o “elevazione” è una fase molto critica e difficile dove non s’improvvisa nulla ma si segue scrupolosamente per tutto il tempo il vino nel suo percorso. Con degustazioni, controlli analitici e eventuali rabbocchi settimanali del livello del vino dentro i contenitori.

Capite bene che tutto questo è un fortissimo stress per il vino, per questo non si può pensare di mettere in legno un vino qualsiasi, pensando di migliorarlo, se quest’ultimo non ha già caratteristiche intrinseche di alta qualità in partenza. Per questo è importante avere ben chiaro il progetto di vino che vogliamo portare a termine e le sue caratteristiche, in modo da non ottenere un vino che saprà solo di legno di segheria o peggio ancora di tostato e vaniglia.

 

Daniele Chiappone