La candida neve durante l’inverno ha ricoperto le vigne, e il terreno sotto di essa ha “riposato”, in attesa del rialzo delle temperature.
Ora siamo a marzo: grazie ai primi tiepidi raggi di sole che riscaldano l’aria, ci apprestiamo alla potatura, la prima operazione che si effettua sulla vite in vista del risveglio vegetativo. Come il taglio del nastro alle inaugurazioni, il taglio della potatura ha un forte significato: sancisce un nuovo inizio e dà la direzione dello sviluppo vegetativo della pianta nell’anno appena incominciato.
Come tutte le altre operazioni che si effettueranno via via durante la campagna agraria sulla vite, la potatura è fondamentale per la gestione della futura produzione dell’uva e della vegetazione.
È bene subito chiarire che si tratta di un’operazione agronomica necessaria al viticoltore per indirizzare e determinare la futura produzione della pianta, ma non è necessaria alla pianta per il suo naturale ciclo vitale: essa infatti produrrebbe ugualmente uva, anche se non potata; siamo noi viticoltori che la addomestichiamo con questo sistema ai nostri bisogni produttivi; siamo interessati al benessere generale della pianta e in particolare al suo frutto, non solo come quantità ma anche come qualità e stato di maturità dei suoi singoli componenti.
Esistono tante forme di allevamento e di potatura in Italia e nel mondo, e sono tutte scelte in funzione delle condizioni pedoclimatiche in cui alleviamo il vigneto, e delle esigenze di meccanizzazione dello stesso.
Alle nostre latitudini e fino ad oggi, cambiamento di clima permettendo, la vite viene allevata su strutture fisse, di sostegno alla vegetazione, pali – fili – canne, nel nostro territorio come in gran parte della penisola.
Questo perché vogliamo, da una parte, ottenere una separazione tra i processi di fruttificazione e quelli di vegetazione; dall’altra, desideriamo sfruttare al massimo l’intercettazione luminosa da parte delle foglie per avere un ottimo sviluppo fotosintetico; e, ancora, attraverso la potatura possiamo provare a gestire con le macchine sempre più lavorazioni, meccanizzandole per diminuire le ore di manodopera/ettaro.
La potatura si effettua con i forbicioni, oggi elettronici a batteria, che limitano lo sforzo fisico e preservano le mani, riducendo la stanchezza della ripetitività del gesto fatto su 4000-5000 viti presenti per ettaro.
La più diffusa nella zona dei 18 comuni del Nizza è l’allevamento a controspalliera con potatura detta a Guyot, in cui la vegetazione della vite si sostiene a dei fili di ferro; questo perché crea un compromesso accettabile tra qualità dell’uva barbera e gestione del lavoro manuale per ettaro.
Ad oggi, un ettaro di vigna in collina con non troppa pendenza (parliamo di terreni pianeggianti con pendenza inferiore al 5% e terreni pendenti o acclivi con pendenza compresa tra il 5 e il 20%) necessita di almeno 400 h di lavoro manuale annuo. Più la pendenza aumenta, più incrementano le ore di lavoro.
La potatura ci permette di selezionare la branca (detta capo a frutto) da cui si origineranno i germogli che daranno i frutti, e posizionarla sul filo a cui si appoggerà. Questo permetterà di gestire a priori il carico di gemme per singola vite, lasciando un numero di occhi (o gemme) simile per ogni vite, in base anche alla vigoria di ognuna.
Otterremo così un controllo sul potenziale produttivo del vigneto, cosa che permetterà, a seconda di varietà, portainnesto, clone e condizioni pedoclimatiche, di scegliere quanta uva produrre a seconda del tipo di vino che vorremo ottenere.
Esistono due tipologie di potatura: quella secca o invernale, e quella verde o estiva.
Eseguite in periodi dell’anno diversi, entrambe contribuiscono alla gestione del potenziale vegeto-produttivo della vite e sono operazioni agronomiche fondamentali, strumenti in mano al vignaiolo per determinare la qualità del futuro vino.
In particolare, la potatura secca o invernale ha anche altri scopi oltre a quelli descritti: permette infatti di equilibrare la quantità di uva prodotta dalla pianta tra una campagna e l’altra. In natura la vite può produrre, un anno in modo abbondante (anno di carica) e un anno in modo più scarso (anno di scarica).
Le piante potate hanno una produzione tendenzialmente più equilibrata tutti gli anni, salvo eventi climatici eccezionali tipo gelate o brinate; quella della potatura è un’arte, e saperla fare bene allunga anche la vita alla pianta, permettendo ogni anno un rinnovo del capo a frutto e “ringiovanendo” le branche produttive.
Una vite ben potata, inoltre, permette al viticoltore di ottenere uva di qualità superiore, grazie all’equilibrio tra la parte in alto della vegetazione, la chioma e quella in basso che è la parte produttiva dell’uva, i grappoli. Questa parte deve essere sempre ben areata e al tempo stesso protetta da uno strato di foglie per evitare le scottature solari, sempre più diffuse a causa di queste ultime estati torride.
Un bravo vignaiolo deve saper “leggere” con lo sguardo la vite, e con la potatura interpretare il futuro, immaginando lo sviluppo vegetativo della chioma, la sua altezza e espansione nello spazio, dove vorrà che i grappoli si sviluppino e in che posizione. Il potatore lavora anche in funzione di tutte le altre operazioni e lavorazioni manuali che si susseguiranno sino alla vendemmia.
Una vigna ben potata si vendemmierà in modo più veloce e meglio rispetto a una vigna potata male, specie se la vendemmia è effettuata manualmente.
Il periodo della potatura invernale è questo, in pieno riposo vegetativo della pianta; una volta scelto il capo a frutto ed eseguita la potatura, si passerà poi a effettuare la stralciatura, ovvero l’eliminazione del legno vecchio presente sui fili, che non serve più per la nuova campagna produttiva.
Daniele Chiappone